MFormazione "il FIGLIO dell'UOMO" ARGOMENTO dalla STAMPA QUOTIDIANA

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FORMAZIONE

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Rassegna Stampa - L'Argomento di Oggi 2010-02-11

LO STOP AI TALK SHOW / L'impar condicio

Si può definire "er pasticciaccio brutto di Palazzo San Macuto" il Regolamento sulle elezioni regionali approvato, a maggioranza, dalla commissione bicamerale di vigilanza. Un testo che equipara, in modo del tutto forzato, le tradizionali tribune politiche ed elettorali, poco popolari, con i talk show di prima e seconda serata, che hanno buoni ascolti e un forte impatto sul pubblico. La legge sulla par condicio, una delle meno rispettate, tiene ferma la distinzione tra comunicazione politica e trasmissioni d'informazione, pur dettando maggiori doveri alle seconde durante le campagne elettorali. Non è secondario, a proposito del "pasticciaccio", che ciò azzeri o quasi le possibilità di avere accesso in tv da parte dei partiti minori nella prima fase della campagna elettorale.

ST

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Studio Tecnico

Dalessandro Giacomo

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Internet, l'informatore, ll Giornalista, la stampa, la TV, la Radio, devono innanzi tutto informare correttamente sul Pensiero dell'Intervistato, Avvenimento, Fatto, pena la decadenza dal Diritto e Libertà di Testimoniare.. Poi si deve esprimere separatamente e distintamente il proprio personale giudizio..

 

Il Mio Pensiero (Vedi il "Libro dei Miei Pensieri"html PDF ):

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2010-02-11

Fondi e giornali, la stranezza italiana / Scheda

AVVENIRE

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2010-02-11

 

 

CORRIERE della SERA

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2010-02-11

 

 

 

 

REPUBBLICA

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2010-02-11

Il presidente dell'azienda a palazzo San Macuto. "Mandato unanime dal cda di rappresentare le critiche al regolamento

sulla gestione dei palinsesti, che dovrebbero essere rivisti, di ordine economico e relativi all'autonomia giornalistica"

Rai e par condicio, Garimberti alla Vigilanza

"Assumetevi le responsabilità del caso"

Poi incontro con i conduttori tv. "Giusto dare un segnale di attenzione nei confronti delle loro istanze"

Rai e par condicio, Garimberti alla Vigilanza "Assumetevi le responsabilità del caso"

Il presidente della Rai, Paolo Garimberti

ROMA - "Sono deluso". Non nasconde il suo giudizio negativo per il regolamento sulla par condicio approvato dalla commissione di Vigilanza, il presidente della Rai Paolo Garimberti, al suo arrivando a palazzo San Macuto per l'incontro con l'Ufficio di presidenza. "Ho avuto mandato unanime dal cda di rappresentare alla commissione le critiche al regolamento, che sono di ordine giuridico, con profili di contrasto con la legge sulla par condicio, che riguardano la gestione dei palinsesti, che dovrebbero essere rivisti, e che sono di ordine economico e anche relativi all'autonomia giornalistica", ha spiegato il presidente della Rai.

Garimberti ha anche evidenziato dubbi "nei confronti del pubblico che non può vedere solamente tribune". Ma quel che sta particolarmente a cuore al presidente della Rai è di sottolineare le responsabilità in questa vicenda: "Una cosa è chiara, non si può pensare che gli effetti del regolamento possano essere attenuati dalla sua interpretazione. La Rai applicherà letteralmente le norme della Vigilanza, che si deve assumere le sue responsabilità. Io non faccio mediazioni o contrattazioni".

Sono molteplici, ha spiegato Garimberti, le criticità del regolamento sulla par condicio così come approvato dalla Vigilanza: "Innanzitutto ci sono problemi di ordine giuridico: secondo il nostro ufficio legale, potrebbero esserci profili di contrasto con la legge 28/2000, ribaditi anche da una sentenza della Corte Costituzionale del 2002". La legge sulla par condicio, infatti, distingue nettamente comunicazione politica e informazione, laddove invece il regolamento prevede che nell'ultima fase della campagna elettorale l'informazione si adegui ai meccanismi della comunicazione politica.

 

"Le criticità, poi - ha aggiunto Garimberti - riguardano la Rai, in termini di gestione dei palinsesti, che devono essere completamente rivisti; di danni economici, che non abbiamo quantificato ma sono sicuramente notevoli; di autonomia del lavoro giornalistico, che vogliamo difendere perchè riteniamo che i conduttori siano responsabili e in grado di assicurare l'equilibrio nelle loro trasmissioni, anche in momenti delicati come le vigilie elettorali. E non dimentichiamo il rispetto nei confronti del pubblico, che ha diritto a non vedere solo tribune".

Il presidente Rai ha anche ribadito una posizione già espressa ieri sera nel suo incontro con Il presidente della Vigilanza, Sergio Zavoli: "Non si può pensare che gli effetti di un simile regolamento possano essere attenuati da interpretazioni delle norme fatte dalla Rai. L'azienda applicherà letteralmente le norme della Vigilanza, è la Vigilanza che deve decidere se vanno bene o no. Sono profondamente deluso da questa normativa e dunque sarà tanto più assoluta e totale la rigidità nell'applicarla".

Garimberti, tra l'altro, ha anche annunciato che dopo l'incontro con i vertici della Vigilanza Rai vedrà i conduttori della tv pubblica scesi ieri sul piede di guerra contro il regolamento sulla par condicio che obbliga i programmi di approfondimento, nell'ultimo mese di campagna elettorale, a fare spazio alle tribune politiche. "Vedrò i conduttori dopo questa riunione - ha spiegato Garimberti - perché è giusto che l'azienda dia un segnale di attenzione nei confronti delle loro istanze. Ieri - ha sottolineato il presidente della Rai - sono stato accusato di passività, ma in realtà avevo bisogno di rendermi conto della situazione e di confrontarmi con il cda. Dunque ho avuto un atteggiamento prudente, anche a tutela dell'azienda e degli stessi conduttori. Oggi, con il mandato pieno ottenuto dal cda, è ovvio che mi muoverò. Ma respingo al mittente - ha ribadito - le accuse di passività".

(11 febbraio 2010)

 

 

Via libera al regolamento per l'applicazione della par condicio in tv

Salteranno trasmissioni come "Porta a Porta", "Ballaro", "Annozero"

Vigilianza Rai, stop alla politica

già un mese prima delle elezioni

L'Usigrai: "È il bavaglio, si va verso lo sciopero"

Vigilianza Rai, stop alla politica già un mese prima delle elezioni

ROMA - Niente Ballarò, Porta a Porta, Annozero e trasmissioni simili all'approssimarsi delle elezioni. Addirittura per tutto il mese che precede le elezioni. Non potranno andare in onda oppure dovranno trasformarsi in tribune elettorali regolamentate. E' quanto ha deciso a maggioranza la Commissione di Vigilanza Rai che si è riunita oggi per mettere a punto le regole sui programmi tv nel periodo della campagna elettorale. E' l'effetto del libera dato dalla Commissione al regolamento per l'applicazione della par condicio in tv in vista delle regionali del 28 e 29 marzo. Tra le novità più importanti contenute nel testo approvato questa sera dalla commissione, una norma che assimila alle regole della comunicazione politica nell'ultimo mese prima del voto anche le trasmissioni di approfondimento, passata con i voti del centrodestra e del relatore, il radicale Marco Beltrandi, e con la netta opposizione del Pd, che ha abbandonato i lavori.

La protesta del Pd. "Quello che è accaduto - accusa il capogruppo del Pd in vigilanza, Fabrizio Morri - è molto grave: il centrodestra, complice Beltrandi, ha votato la soppressione delle trasmissioni di approfondimento giornalistico nell'ultimo mese di campagna elettorale: dunque 'Porta a Porta', 'Ballaro, 'Annozero' salteranno, cosa mai accaduta prima e che la legge non chiede, e per estensione due terzi del palinsesto di Raitre rischiano la cancellazione. La norma approvata, infatti, prevede che al posto di queste trasmissioni si facciano tribune elettorali, sottoposte alle regole rigide della ripartizione paritaria fra tutti i soggetti politici". Secondo Morri, questa novità apre anche un problema relativo alla tv commerciale: "Dubito molto - sottolinea - che l'Autorità per le comunicazioni si senta di cancellare 'Matrix' o gli altri approfondimenti di Mediaset".

 

La replica di Beltrandi. "Le nuove disposizioni - spiega l'esponente radicale - stabiliscono che i programmi di approfondimento possano scegliere: o devono ospitare nei loro spazi le tribune politiche, oppure possono andare in onda in orari e fasce diverse. Dipenderà da Vespa, da Floris, da Santoro, cioè dai responsabili delle trasmissioni. E in ogni caso, se decideranno di andare in onda in altre fasce orarie e si occuperanno di politica, dovranno obbedire alle regole della comunicazione politica e cioè delle tribune".

Usigrai: "E' il bavaglio, si va verso lo sciopero". "Domani stesso - ha dichiarato Carlo Verna dell'Usigrai - apriremo le procedure per lo sciopero dopo la decisione della vigilanza dimettere il bavaglio all'informazione Rai durante la campagna elettorale. Si stanno minando le ragioni stesse del servizio pubblico. Una assurdità".

(09 febbraio 2010) Tutti gli articoli di Politica

 

 

 

L'UNITA'

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2010-02-11

Editoria, governo conferma i tagli Colpo al cuore all'informazione libera

di Bianca Di Giovannitutti gli articoli dell'autore

Pietra tombale sul pluralismo dell’informazione. Il governo non salva le testate di idee, opinioni, cooperative e non profit: nessun emendamento nel decreto Milleproroghe. Nonostante le rassicurazioni di Giulio Tremonti. Dopo un pomeriggio di stop-and-go sul provvedimento in Senato, in serata è arrivato il maxiemendamento su cui è stata chiesta la fiducia che si voterà oggi. L’ennesima. Evidente che il governo non si fida della sua stessa maggioranza. Testo blindato: modifiche impossibili.

Anche quella sull’editoria, che pure aveva trovato un sostegno trasversale, su cui si era esposto anche il presidente della Camera Gianfranco Fini. Non solo restano in piedi le norme infilate con un blitz in Finanziaria, che cancellano il diritto soggettivo delle aziende ad accedere ai contributi diretti. C’è di più. C’è anche un comunicato di Palazzo Chigi in cui si annuncia un taglio ai contributi di circa il 20% sui fondi del 2010, che saranno erogati secondo un nuovo regolamento da stilare in estate dopo gli Stati generali dell’Editoria, convocati per giugno. Insomma, il sistema passato è cancellato. Per ora c’è l’assenza del diritto e meno fondi "per via della crisi", dichiara Paolo Bonaiuti.

Un binomio mortale, che getta nella crisi decine di aziende già pronte a chiedere cassa integrazione e stato di crisi. Se non cambia nulla alla fine dell’anno delle 92 testate finanziate dal fondo ne resteranno in piedi sì e no la metà, azzarda qualche addetto ai lavori. Con un danno grave al pluralismo dell’informazione. Tra le testate colpite compaiono infatti giornali importanti per la loro storia e la loro diffusione, come l’Unità, il loro forte rapporto con i lettori come il Manifesto. Ma anche nuove e ricche esperienze editoriali, che sperimentano nuovi modelli di comunicazione. Ci sono le cooperative e le imprese senza scopo di lucro e le testate delle minoranze linguistiche. Un universo variegato, che ha difficoltà ad accedere alla ricca torta della pubblicità. Tra questi anche giornali "finti", aperti solo per intercettare i contributi: per questo esiste la forte determinazione alla riforma del settore. Ma non certo con la spada di Damocle del rischio chiusura sulla testa.

Il rischio maggiore non sta tanto nelle minori risorse (dovrebbero scendere a circa 130 milioni, dai 170 utilizzati per il 2008), che comunque hanno copertura, come ha deliberato la commissione Bilancio del Senato. Il vero attacco sta nell’abolizione del diritto soggettivo. Grazie a quel sistema, infatti, ciascuna testata godeva della certezza di poter accedere a una somma stabilita, in base a certi criteri. Questa certezza - fondata appunto sul diritto soggettivo al sostegno - consentiva alla testata di iscrivere a bilancio il contributo pubblico, o di utilizzarlo come garanzia su prestiti bancari fin quando il contributo non fosse stato effettivamente erogato. I finanziamenti infatti vengono sbloccati nell’anno successivo a quello di riferimento. In questi mesi si attende il contributo relativo al 2009, che in via di principio dovrebbe essere erogato secondo il vecchio sistema, ma che il governo intende invece calcolare secondo il nuovo.

Eliminato il diritto soggettivo, si adotta il sistema della "torta" da distribuire tra i vari richiedenti. Una "fetta" a ciascuna testata. Il fatto è, però, che fino a fine anno non si conosce la consistenza della "fetta", perché non si sa tra quanti soggetti si dovrà spartire la torta. Questo impedisce alle imprese di iscrivere cifre in bilancio o di accedere a crediti bancari. Ecco perché è una scelta mortale, un vero accanimento che non produce risparmi, ma solo stati di crisi. Non sembra una grande trovata per un ministro dell’Economia che voglia combattere gli effetti della crisi.

Il fronte dei giornali di opinione e il sindacato dei giornalisti non rinuncia alla battaglia parlamentare, nonostante la blindatura del governo. Ora la battaglia si sposta alla camera e se anche lì il governo dovesse tirare dritto, si utlizzerà il decreto annunciato dal ministro Scajola per lo sviluppo. Ma di quel decreto non si è vista ancora traccia.

10 febbraio 2010

 

 

Ma al gruppo Mondadori arrivano 30 milioni

I finanziamenti pubblici arrivano indistintamente a tutti i giornali attraverso i rimborsi delle spese postali, elettriche e telefoniche, e per l’acquisto della carta.

Questi finanziamenti "indiretti" sono di importo maggiore rispetto al finanziamento "parlamentare".

Le cifre del 2006, ad esempio, per quanto riguarda i finanziamenti "indiretti", erano:

- Repubblica-Espresso 12 milioni di euro

- RCS e Corriere della Sera 25 milioni di euro

- Sole 24 Ore, quotidiano della Confindustria 18 milioni di euro

- Mondadori, gruppo editoriale di proprietà della famiglia Berlusconi, 30 milioni di euro.

10 febbraio 2010

 

 

 

I quotidiani "nemici" senza pubblicità

di Marco Bucciantinitutti gli articoli dell'autore

In questo paese si è più realisti del Re. Berlusconi chiede agli imprenditori di evitare gli spot sui quotidiani per lui scomodi, ma è cosa già fatta. L’Italia è il paese occidentale con la percentuale più bassa di investimenti pubblicitari sulla carta stampata. Crisi generale, d’accordo. E servilismo al padrone, come Berlusconi sa, perché in questo restringimento di introiti la sua Mediaset, tramite la concessionaria Publitalia, non sente crisi. Il suo gruppo è riuscito perfino ad aumentare la raccolta, che nel 2008 è stata sui 3 miliardi di euro. Mediaset ingrassa, mentre gli altri media boccheggiano. Una posizione di forza e di privilegio coltivata negli anni, blindata dalla legge Gasparri che ha alimentato il duopolio e adesso monetizzata. Per due ragioni: la sudditanza psicologica, l’intervento diretto. Ai potenti i favori si fanno, non devono nemmeno chiedere.

È la sudditanza psicologica: così, negli ultimi dodici mesi - dati Nielsen Media - i maggiori 15 inserzionisti del nostro mercato hanno aumentato i loro investimenti su Mediaset per 30 milioni. La Rai è rimasta pressoché ferma. In questo scorcio di 2009i quotidiani stanno assorbendo un calo drammatico del 15% sull’anno precedente, che è stato il peggiore di sempre. Va ricordato che il mercato pubblicitario in Italia è perverso: se in Germania le tv assorbono un quarto delle risorse, in Francia il 30%, in Spagna poco più, qui il rapporto è contrario. Le televisioni si mangianoil65%della torta. Il resto è per la stampa, che già fronteggia il calo dei lettori (91 copie ogni mille abitanti - quando in Giappone sono 624, nel Regno Unito 300, nei paesi scandinavi fra i 450 e i 600).

L’annus orribilis, lo hanno definito gli editori, sul quale soffia il presidente del consiglio, sordo all’articolo 21 della Costituzione, che promuove e tutela il pluralismo nell’informazione. I dati Nielsen illustrano una situazione curiosa: davanti alla contrazione degli investimenti in pubblicità commerciale (da 8 miliardi e 172 milioni a 7 miliardi e 978 milioni), il gruppo di Berlusconi divora il 38% del gruzzolo. Mediaset ha il vento in poppa, gli altri annaspano controvento. La carta stampata - tutta insieme - è al 33,4%. Quello che Berlusconi auspica lo ha già praticato, strangolando i quotidiani. Giovando anche della mano che aiuta: le grandi aziende legate al Tesoro, quindi alla politica - Enel, Eni, Poste Spa - hanno foraggiato Mediaset. Eni ha versato 17,8 milioni a Publitalia, 5 milioni in più rispetto al 2007, in un quadro di risparmi aziendali. L’Enel è passata da 10 milioni a 13. Le Poste Spa negli ultimi due anni hanno moltiplicato per sei la quota per il Biscione. Clamorosa la paghetta degli investitori istituzionali: quando i ministeri e la presidenza del consiglio informano i cittadini con le campagne sui temi sociali (ma anche sull’anniversario della nascita di Garibaldi) la Rai non riscuote (per legge), Mediaset sì: è passata da 4,5 milioni a quasi 9. Con il risvolto grottesco dei 35 spot per i 60 anni della Costituzione con cui s’infarcì la programmazione di Rete4, canale sentenziato come incostituzionale.

Ma la crisi è dura, checche ne dica Berlusconi (che intanto - si è visto - mette al riparo le sue aziende). Così l’ordine è di spremere ancora, e il ministro Bondi non si sottrae, quando c’è da dimostrare zelo. La sua proposta di rinsecchire la Rai, togliendo gli spot a una rete pubblica, sarebbe costata alla concessionaria Sipra circa 400 milioni di euro. Dove sarebbe finito il bottino è inutile ricordarlo. L’idea inorridì l’ex direttore generale della Rai, Claudio Cappon. Ma adesso su quella poltrona c’è Mauro Masi, grand commis dello Stato, ganglo per anni di Palazzo Chigi, gradito a Berlusconi. Che vede complotti, e davanti agli attacchi del Times paventò l’acredine di Murdoch, senza però mai - mai - nominarlo pubblicamente, restando allusivo (cosa che invece non si risparmia con Repubblica e l’Unità). Forse perché Sky non è così nemica: negli ultimi due anni ha offerto i suoi bouquet su Mediaset per 34,5 milioni. Réclame che sulla Rai sono "passate" assai meno frequentemente, per un conto di 4 milioni scarsi. Pecunia non olet, si diceva un tempo.

10 febbraio 2010

 

 

 

 

Pubblicità, ecco chi ci guadagna

di Roberto Rossitutti gli articoli dell'autore

Se l’Unità fosse stampata in Irlanda anziché in Italia, questo articolo non avrebbe mai visto la luce. Non ci saremmo mai dovuti occupare, infatti, del mercato della pubblicità. In particolare della sua distorsione. Se fossimo a Dublino - come sottolinea il rapporto statistico 2008 diffuso pochi giorni fa dall’Ofcom, l’autorità inglese che ha messo la lente su tutto il settore dei media - metà delle reclame in circolazione sarebbero stampate su carta, mentre il resto sarebbe ripartito tra tv, internet e, in minima parte, radio.

Invece siamo a Roma. Con un presidente del Consiglio proprietario di tre televisioni private. E con un settore che fa la parte del leone e si mangia circa metà dell’intera torta (oltre il 51%), mentre gli altri si devono accontentare del resto: ai quotidiani la parte più sostanziosa (il 18%), qualcosa meno ai settimanali (il 15,1%), poco per Internet (8,7%) e radio (5,3%), briciole per la cartellonistica (2,5%) quasi nulla al cinema (0,6%).

Il nostro è l’unico caso in Europa con una sproporzione così accentuata. In Francia le televisioni assorbono il 28% del mercato, in Inghilterra il 26,4%, in Germania, addirittura, si scende al 23%. Vicino a noi, si posizionano invece Polonia (43,9% della spesa finisce alla tv) e Spagna (43,9%).

In Italia la televisione, invece, gioca un ruolo preponderante. Del resto, sempre secondo quanto riportato da Ofcom, è da noi che si passa più tempo davanti al video, con 234 minuti al giorno. Al polo opposto troviamo invece la Svezia e l’Olanda, dove gli spot assorbono appena il 20%, e l’Irlanda, circa il 23%.

Questa anomalia ha anche una ragione economica. Legata al tessuto industriale del Paese. A parte Fiat, le nostre maggiori aziende sono quasi tutte controllate da Tesoro (Eni, Enel, tanto per citare un esempio) o comunque soggette a concessioni governative (Autostrade e Telecom). E visto che le aziende più grandi sono anche quelle che investono di più in pubblicità è logico pensare che alcuni settori, in questa battaglia ad armi impari, siano avvantaggiati. E in particolare alcune aziende. Ma non è solo un retropensiero. È una realtà certificata. Come spiegava un rapporto Nielsen, del giugno del 2009 ma ancora attualissimo, i maggiori 15 inserzionisti del nostro mercato, nei primi mesi dell’anno, con la crisi che già mordeva, avevano aumentato i loro investimenti su Mediaset per 30 milioni di euro circa. D’altro canto la Rai era rimasta pressoché ferma.

Ad esempio, Eni aveva versato 17,8 milioni a Publitalia, 5 milioni in più rispetto al 2007, l’Enel era passata da 10 milioni a 13, le Poste Spa negli ultimi due anni avevano moltiplicato per sei la quota per il Biscione.

La regola non vale solo per le grandi aziende private. Anche gli investitori istituzionali, cioè lo stesso Stato, avevano contribuito ad aumentare le tasche del padrone. Quando i ministeri e la presidenza del consiglio informano i cittadini con le campagne sui temi sociali (ma anche sull’anniversario della nascita di Garibaldi) la Rai non riscuote (per legge). Mediaset sì. Sempre nei primi mesi del 2009 la società era passata da 4,5 milioni a quasi 9. Con il risvolto grottesco dei 35 spot per i 60 anni della Costituzione con cui s’infarcì la programmazione di Rete4, canale sentenziato come incostituzionale.

Sarà anche per questo che la tv non soffre troppo la crisi. Al contrario dell’editoria, ancora in mezzo al guado. "Non ci sono segnali di uscita" ha detto recentemente il presidente della Fieg, il cartello che raccoglie gli editori in Italia, Carlo Malinconico. Anzi "la pubblicità va ancora male". Forse anche lui vorrebbe essere in Irlanda.

11 febbraio 2010

il SOLE 24 ORE

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2010-02-11

LO STOP AI TALK SHOW / L'impar condicio

12 Febbraio 2010

Si può definire "er pasticciaccio brutto di Palazzo San Macuto" il Regolamento sulle elezioni regionali approvato, a maggioranza, dalla commissione bicamerale di vigilanza. Un testo che equipara, in modo del tutto forzato, le tradizionali tribune politiche ed elettorali, poco popolari, con i talk show di prima e seconda serata, che hanno buoni ascolti e un forte impatto sul pubblico. La legge sulla par condicio, una delle meno rispettate, tiene ferma la distinzione tra comunicazione politica e trasmissioni d'informazione, pur dettando maggiori doveri alle seconde durante le campagne elettorali. Non è secondario, a proposito del "pasticciaccio", che ciò azzeri o quasi le possibilità di avere accesso in tv da parte dei partiti minori nella prima fase della campagna elettorale. L'offerta televisiva, a marzo, sarà impoverita, soprattutto quella della Rai. I telegiornali avranno il monopolio sull'informazione. E per capire quale sia stato nel 2009 il loro (basso) grado di pluralismo basta tornare a pagina 12 e leggere i dati che Il Sole 24 Ore pubblica in esclusiva.

12 Febbraio 2010

 

 

 

L'OSSERVATORE ROMANO

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IL MATTINO

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La GAZZETTA dello SPORT

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CORRIERE dello SPORT

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LA STAMPA

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2010-02-11

 

 

SORRISI e CANZONI

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WIKIPEDIA

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